CARATTERISTICHE EDITORIALI E FISICHE
Avete presente
Il pianeta delle scimmie? Il romanzo di Pierre Boulle, dico, l'autore de
Il Ponte sul Fiume Kwai. Ecco, questo è il libro da cui è stata, ah-ehm,
presa di peso l'idea di base: quella di un mondo dominato dalle scimmie in cui noi esseri umani non siamo che curiosi animaletti.
Il punto però è che non si tratta di un plagio, anche se la premessa generale è simile. Sono due storie molto diverse, come vedremo, e poi se non si possono riciclare i
topòi dove va a finire la letteratura signora mia. D'altronde anche questo
Genus Homo si basa su
Living Fossil, un racconto di de Camp del 1939 pubblicato su Astounding. Questa però è la prima volta che appare l'idea nella fantascienza del '900 ed è da qui che prende la rincorsa fino a diventare, nell'incarnazione di Boulle, prima un romanzo, poi un film iconico cementato nell'immaginario collettivo e infine un
franchise ultradecennale.
Genus Homo vede le stampe per la prima volta sulle pagine di
Super Science Stories nel Marzo del 1941. L'edizione in volume cartonato arriva nel 1950 per Fantasy Press, il tascabile nel 1961 per Berkley Books.
Gorilla Sapiens è la prima edizione italiana a riprova, se mai ce ne fosse bisogno, della lungimiranza del curatore di Urania, Monicelli.
La coppia di autori è strana, ma ho una teoria.
Da una parte abbiamo
Lyon Sprague de Camp, un gigante assoluto dell'epoca d'oro della fantascienza che non solo pubblicava sulle stesse riviste di Asimov e Heinlein, ma ci lavorava insieme come ricercatore durante la Seconda Guerra Mondiale. Il responsabile della prima edizione in
paperback di Conan il Barbaro, per dire.
Dall'altra c'è
Peter Schuyler Miller, chimico, autore
pulp di medio successo negli anni '30 e '40 sia per le sue storie brevi che, successivamente, per le recensioni di libri che gli frutteranno un Premio Hugo speciale nel 1963. Ha però al suo attivo un solo romanzo: questo. La cosa interessante è che fosse un assoluto fanatico di Robert E. Howard. Con un suo amico altrettanto pazzo si mise a ricostruire cronologicamente i viaggi e la carriera di Conan mentre ancora uscivano storie nuove, sviluppando nel 1936 la mappa che servirà da base per quella più tardi inclusa in tutte le edizioni delle avventure del personaggio.
Mi diverte immaginare che questo romanzo a quattro mani sia nato perché due nerd di
Aquilonia si sono riconosciuti tra loro in un mondo che non li capiva e hanno deciso che
dovevano pubblicare qualcosa insieme!
La traduzione è di Patrizio Dalloro, pseudonimo condiviso tra Maria Teresa Maglione, detta “Mutti”, e il compagno Giorgio Monicelli. Stavolta non sono riuscito a verificare chi dei due abbia tradotto il romanzo, ma lo stile della prosa e le scelte traduttive mi pare indichino Monicelli. Seppur buona, infatti, la traduzione è un po' goffa e Monicelli secondo me era più a suo agio col francese. Poi la prosa è agile, scattante, moderna ma soffre di qualche termine desueto anche al tempo (non "simili" ma "congeneri", non "ritratte" ma "rattratte", le frecce "lardellavano" le nuche dei cinghiali e c'è anche una melopea, che è un termine che ho visto l'ultima volta 30 anni fa). Ma il vero indizio rivelatore credo sia che tutti bestemmiano di continuo! Ho le foto per provarlo! Non è la prima volta che lo colgo - questa almeno è la mia ipotesi - a rendere in questo modo l'inglese swearing, quindi penso che stavolta ci sia lui dietro Dalloro. Ovviamente potrei sbagliare, informatemi se sapete altrimenti.
Nota dolente: parecchi dialoghi sono molto coloriti e assomigliano un po' a quelli di un film gangster di serie B, ma sospetto siano così in originale e Dalloro abbia voluto renderne i toni esattamente.
Gli errori di battitura non si contano, com'è classico per Urania che ancora oggi soffre una cronica mancanza di editing.
Le evocative illustrazioni sono del sempre apprezzabile BELT, lo stesso dei numeri 8, 9 e 11, che non sarà Jacono ma fa la sua figura. Ancora non sono riuscito a dare un nome, un cognome e un volto a questo pseudonimo, se avete informazioni sono bene accette.
Infine il volume fisicamente si presenta "giovane": è in ottime condizioni, almeno LEM 4.5. Solido, coeso, ancora flessibile, carta ragionevolmente bianca, qualche segno di lettura e basta. Pare di tenere in mano un Urania con quarant'anni di meno.
Il romanzo inizia con Bridger, un chimico, che si risveglia stordito nel buio più totale. È il passeggero di una corriera e l'ultima cosa che ricorda è un incidente rovinoso. Intorno a lui sente gemiti e movimenti: altra gente che si sta svegliando. Nell'aria c'è un curioso odore.
Dopo un po' di complicate manovre si capisce finalmente cos'è successo: la corriera è... sottoterra? L'incidente era stato in un tunnel, vero, ma... il gruppo di superstiti inizia uno sforzo collettivo per tirarsi fuori da lì e scopre che le imboccature del tunnel sono bloccate.
È una compagine variegata: un gruppo di scienziati, una torma di ballerina di night club con il loro impresario, una famigliola borghese, due uomini d'affari che vanno in campeggio, un poliziotto, l'autista e via elencando. Sorvolo sulle dinamiche di potere interne al gruppo che, pur fungendo da motore dell'azione, risultano noiose ed esasperanti. I nostri sono civili quanto un branco di gatti e decisamente meno amichevoli, il che non li favorisce in una situazione tanto strana.
Il primo indizio che qualcosa davvero non va è quando i chimico incontra uno scoiattolo carnivoro grosso come un orso, che per fortuna lo lascia in pace.
Il gruppetto di esploratori si imbatte anche in giganteschi pappagalli e un villaggio di topi delle caverne da cento chili. Che giocano a "foot-ball". Mentre altri mangiano, trasportano merci, siedono di fronte alla loro caverna o si lavano con una spugna in una tinozza. Per quanto sia un'immagine fiabesca e adorabile, qualcosa decisamente non quadra.
I vari scienziati del gruppo azzardano ipotesi su quanto tempo sia trascorso dall'incidente in corriera e il consenso generale è che, per un'evoluzione di quel tipo, devono essere passati milioni di anni. L'odore che tutti ricordano di aver sentito doveva essere il misterioso gas che uno degli scienziati morti nello scontro portava al convegno. Beh, ora sanno cosa faceva.
Il gruppo, ragionevolmente, comincia a innervosirsi e partono discussioni. Gli animi sono inquieti, il che è occasione per gli autori di darsi alla misoginia più schietta e verace. Bridger, infatti, riflettendo su come gestire gente così irritabile, conclude al volo che la colpa è della presenza delle donne. Il solo fatto che siano lì! E qui viene il bello, perché non più di una frase dopo, letteralmente nel giro di alcuni secondi, scoppia una violentissima rissa tra uomini per futili motivi legati a rimostranze sull'uso errato di un coltellino. Nemmeno una donna coinvolta, manco tangenzialmente, ma la vicinanza di una vagina è abbastanza per instupidire gli uomini.
Il dubbio che sia satira esiste, dato che poi dopo la metà del romanzo alcune delle donne sono decisamente più assertive e intelligenti delle loro controparti maschili, ma non è detto. Dato che Monicelli, nella scheda dell'opera, parla di romanzo "ironico e divertente", tendo a credere che di quello si tratti, cioè di una presentazione umoristica dell'atteggiamento dei due sessi che alla fin fine risulta comunque un umorismo dal punto di vista degli uomini; molto "maschio" e molto anni '50.
Le vicissitudini continuano tra topi giganti che si mangiano l'unico ragazzino dell'allegra combriccola, imprudenze di un'ingenuità che sfida ogni logica, tentati stupri (li chiamano "attentati al pudore" e poi, dai, "lei ci stava"... BLEEEUUURGH), ulteriori risse e insomma, un disastro. Si cambia capo a ogni litigata e praticamente nessuno dimostra un briciolo di competenza. Il teatrino politico, con tanto di roboanti discorsi, è così grottesco che sospetto sia una satira del contesto politico statunitense, anche se mi manca la specifica conoscenza del periodo necessaria a determinarlo con sicurezza.
La prosa è, diciamo, un po' diluita. Siamo a pagina 50 e la sensazione è che non sia accaduto molto, nonostante paragrafi interi di lotte intestine. Non aiuta che molti avvenimenti siano stati riassunti da qualcuno al chimico sottoforma di rapporto invece che direttamente descritti... che fino ha fatto show, don't tell?
Alla fine il capo torna a essere Bridger, che è il personaggio principale del cast, e la situazione si stabilizza abbastanza per permettere un'esplorazione razionale della zona per massimizzare le probabilità di sopravvivenza. Si individua l'insenatura di un lago in cui creare un accampamento stabile.
Il giorno stesso i nostri avvistano una barca con due rematori che, dalla distanza, paiono infagottati in grossi cappotti di pelliccia. Decidono di indagare.
Da qui cominciano le scimmie e smetto di dare troppi dettagli sulla trama, perché c'è voluto quasi mezzo romanzo ma il bello finalmente comincia! Mi limiterò a dire che è un bene ci siano degli scienziati nel gruppo perché sono loro a condurre quasi tutte le interazioni significative.
In primo luogo parliamo di scienza perché, beh, sono un fissato.
Si parla molto di estinzione umana ed evoluzione post-umana, che d'altronde è il punto della questione. Ritroviamo qui idee che de Camp ricicla da Living Fossil, come la megafauna del futuro evolutasi da quella attuale e l'alto livello tecnologico delle scimmie (che nel racconto sono scimmie cappuccine, qui all'inizio solo gorilla). La plausibilità non è magari eccezionale, ma lo sforzo è lodevole e alcune scene sono veramente aliene, come quelle riguardanti gli scoiattoli carnivori.
Nel romanzo c'è anche dell'antropologia culturale, soprattutto negli scambi tra scienziati umani e gorilleschi. Essi fungono da mezzo di critica e decostruzione delle idiosincrasie culturali umane (soprattutto quelle degli USA alla fine degli anni '30). Il modo in cui de Camp e Miller rappresentano la società scimmiesca è delizioso anche se un po' di didascalico. Si ingegnano a costruire un consesso civile che, se per molti versi ovviamente somiglia al nostro, ha preso una direzione del tutto diversa nel rapporto con la tecnologia, l'ambiente e molte altre cose - ma non il sessismo: anche per i gorilla "le femmine non amano le macchine", pur se combattono in guerra come i maschi. Le scimmie inoltre non capiscono il senso della religione e ne parlano con divertita condiscendenza - che buffa cosa credere in un omino inventato - contano in base 12 e in generale sono dei positivisti.
Vi sono quattro razze senzienti, tecnologiche e "civilizzate" che dominano la Terra: orang-utan, scimpanzé, gorilla e babbuini, ognuna con la sua peculiare cultura, un diverso modo di vedere il mondo, l'arte e la tecnica, e differenti sistemi di governo. I gorilla sono decisamente democratici con un tocco di tecnocrazia e tengono enormi orsi bruni come animali da compagnia, mentre gli scimpanzè sono più dediti alle arti ma nel contempo anche guerrafondai che preferiscono il modello della "scimmia forte" col potere che si perpetua in linea dinastica, tanto per fare due esempi. La cosa curiosa è che tutti (TUTTI) fumano come ciminiere, indistintamente, soprattutto grosse pipe e lunghissime sigarette.
Un aspetto molto rilevante per i nostri naufraghi del tempo, ma tragicamente poco approfondito nel romanzo, è che fine abbia fatto la civiltà umana. De Camp paventa che la guerra iniziata nel 1939 in Europa possa averla spazzata via, dato che i tedeschi del romanzo avevano scoperto il modo di fissionare l'uranio proprio al tempo dell'incidente in corriera, ma i gorilla non ne sanno praticamente niente: dopotutto sono passati milioni di anni.
Purtroppo l'esplorazione di questo mondo del futuro finisce presto, proprio quando gli umani si stanno adattando a vivere in quella strana società, soppiantata dalla narrazione di una guerra coi babbuini nel corso della quale ci distinguiamo per impeto, inventiva e coraggio. Un po' di sciovinismo umanocentrico è più o meno di rigore nella fantascienza del periodo, ma ci piace così.
Le battaglie occupano l'ultimo terzo del libro e sono francamente deludenti, a tratti persino comiche. L'azione non è un granché, le descrizioni sono un po' sommarie e soprattutto mi hanno tolto la cosa che speravo sopra ogni altra di rivedere: il villaggio dei gigasorci! Perché non c'è nemmeno una parola su quello? Compare per una pagina e non viene più nemmeno menzionato! Tragica occasione mancata. Compensa, ma solo in parte, l'esilarante idea di coinvolgere nella lotta gli enormi castori del futuro - armati di lance, che vivono in torri e hanno un linguaggio... ma quante specie civilizzate ci sono? - comunicando con loro tramite disegnini e corrompendoli con "la scorza dei frassini" che è il loro cibo favorito.
Il romanzo in generale passa un po' troppo tempo a occuparsi delle ormai anacronistiche preoccupazioni umane per la decenza e l'etichetta (soprattutto sessuale, dato il periodo) e troppo poco nell'offrire una storia coinvolgente, che rimane interessante finché si parla di società scimmiesche ma scade fin troppo presto nel pulp pieno d'azione con qualche trovata divertente. Per quanto la struttura sia solida e l'arco narrativo coerente, il testo ha anche seri problemi di ritmo e alterna parti concitate e parti esplorative in modo decisamente discordante. La prosa è di qualità incostante e mena il can per l'aia in diversi tratti, il che è strano per de Camp, quindi sospetto lo zampino di Miller.
In conclusione si tratta di un romanzo molto, molto diverso da Il pianeta delle scimmie, con una caratterizzazione dei personaggi decisamente inferiore e senza la stessa potenza simbolica. Quella che abbiamo di fronte è più un'avventura rocambolesca e immaginifica che una riflessione profonda su aspetti significativi. In sé non è malaccio, se vi piace questo tipo di cosa, ma a me personalmente non è piaciuto un granché e ho dovuto combattere la noia in più punti.
In chiusura di volume abbiamo, come di consueto, diverse cose, tra cui la solita rubrica enigmistica e la prima puntata di Niente fiori all'ambrosia di Rex Stout, un giallo con protagonista Nero Wolfe, che non recensirò anche se sono un fan perché non è fantascienza. Sono certo sia lì perché la Mondadori non perdeva mai occasione di fare pubblicità alle altre sue collane, in questo caso offrendo un assaggio eccellente.
Il fiore all'occhiello però è la rubrica scientifica, in cui l'autore (ipotizzo proprio Monicelli) si lancia nella descrizione di come Werner Von Braun immaginava la nostra prima sortita lunare. Leggerla è affascinante per il netto, scioccante contrasto con quel che è poi veramente avvenuto: Von Braun sognava in grande. Parliamo della costruzione di una stazione in orbita terrestre su cui avremmo radunato comburente, combustibile, i materiali per il viaggio e per costruire ben tre "astrorazzi", uno per il carico e due per le persone! Il tutto con l'idea di allunare e costruire una base che avrebbe consentito ad alcune decine di scienziati una permanenza di sei settimane.
Le astronavi, costruite in orbita, non sarebbero state aerodinamiche, ma composte da una sovrastruttura aperta contenente cupole per l'equipaggio, sfere e cilindri per lo stoccaggio dei materiali e dotate di innumerevoli motori ciascuna.
L'autore si dilunga nei particolari tecnici della scelta del luogo d'atterraggio, che sarà fatta con un previo volo di ricognizione che prenderà "fotografie e cinematografie" della superficie lunare, e racconta con esattezza il viaggio descrivendo correttamente le varie fasi di accelerazione, decelerazione a allunaggio con particolare attenzione ai motivi per cui è necessaria una simile traiettoria. Emozionante la descrizione della rotazione dell'astronave sul suo asse per invertire la spinta, con tanto di realistico intervento EVA dei "tecnici" in tutta spaziale. La fisica è corretta e il linguaggio adatto ai profani: chapeau.
Poi ovviamente c'è parte di quell'ingenuità che avevamo al tempo, dovuta alle nostre scarse conoscenze e al fatto che l'articolo considera solo gli aspetti tecnici dell'impresa senza soffermarsi sulla fattibilità economica e politica - anche se ci sono stime dei costi.
I pericoli che destavano maggiore preoccupazione erano i meteoriti, per cui la base sarebbe stata costruita in un crepaccio che fornisse riparo, e le temperature estreme, a cui avremmo ovviato allunando lontano dall'equatore.
Vale la pena ricordare che al tempo il primo satellite era ancora 4 anni nel futuro e delle condizioni sulla superficie lunare sapevamo poco e niente, il che rende ancora più impressionanti la scala e l'ambizione del progetto. Per certi versi è un gran peccato che sia andata così e non come immaginava Von Braun.
D'altronde lo dico sempre: il futuro era più bello in passato!
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Figuriamoci se ci lasciamo scappare l'occasione di prendere in giro una donna grassa |
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Tra gli incidentati c'è il gestore di un locale notturno con le sue "gallinelle" che OVVIAMENTE tutti reputano immediatamente un magnaccia |
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Giunoniche predatrici sessuali dalle cosce nude attentano alla castità di un povero omino innocente |
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Donne in pantaloni! SIGNORA MIA DOVE ANDREMO A FINIRE |
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Scoiattoloni antropofagi su Rieduchescional Ciannel |
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"Finché frignano non si tormentano a pensare" è notevole |
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La pena corretta per ogni trasgressione femminile, no? |
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Ormai il sessismo comincia a diventare davvero irritante. Vale la pena rilevare che sono gli uomini i più irrazionali minchioni attaccabrighe della combriccola |
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Sono sinceramente curioso di conoscerle nel dettaglio! Peccato che non accada mai |
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Un normale e umano gesto di frustrazione diventa motivo di disprezzo se lo fa una donna, of course |
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La gente è nervosa per colpa del caldo ma... indovinate? Bravi, è colpa delle donne! |
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Una delle molteplici risse scatenate dagli uomini per futili motivi. Maledette donne! Ah, non c'entrano? Ehm... maledette donne! |
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Avevo già accennato agli scoiattoli antropofagi, vero? |
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Megapappagallo vs. Gigascoiattolo, si accettano scommesse |
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Qua la derattizzazione è da fare col napalm |
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In teoria sono gorilla, in pratica BELT avrebbe dovuto aprire un libro di qualche tipo prima di disegnarli |
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Giustamente anche le signore vogliono un po' di blasfemia |
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La collana principale era dedicata ai romanzi (Romanzi di Urania, appunto), questa Urania qui invece alla narrativa breve con qualche romanzo a puntate. Notevoli i racconti di Matheson e Clement |
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Continuano a sembrare scimpanzè invece che gorilla ma ehi, l'illustrazione è fantastica |
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Ho trascorso la lettura sperando ardentemente che le donne facessero fuori tutti questi imbecilli nel sonno. Errore di battitura bonus |
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I volumi di Urania dell'epoca erano composti da fascicoli o "libretti" di 16 pagine assemblati e cuciti insieme a formare il numero completo. Qui si vede uno dei segni tipografici che indica allo stampatore in che ordine vanno i fascicoli e a quale pubblicazione appartengono. In questo caso abbiamo davanti l'ottavo fascicolo di UR(ania) numero 13 |
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Le scimmie hanno dei colossali cinghiali da soma che, per qualche ragione, non avevano mai pensato di cavalcare in battaglia. Ovviamente l'idea viene agli esseri umani |
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Prossima Recensione in Guanti Bianchi |
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Quella diga è stata fatta collassare dai megacastori del futuro in cambio di un po' di "corteccia di frassino" |
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Alla faccia del romanzetto. Se non lo avete mai letto procuratevelo, date retta |
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Mannaggia al marketing... "generosa iniziativa" che però porta in cassa un bel po' di denaro! |
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Queste rubriche sono una delle mie cose preferite degli Urania di quei tempi |
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Questa enciclopedia dev'essere stata un investimento notevole se la spingono così tanto |
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Finora 13 numeri e 13 Recensioni in Guanti Bianchi |
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E che, un po' di enigmistica non ce la ficchi? In quegli anni era di rigore un po' ovunque |