28 gennaio 2023

Urania n. 3 - L'orrenda invasione di John Wyndham

CARATTERISTICHE EDITORIALI E FISICHE

Copertina un po’ ammaccata ai bordi ma robusto ed elastico, carta bianca e in ottime condizioni. 

Presenta una firma per me indecifrabile sulla pagina del titolo e la data Novembre 1952, che è il mese di uscita del numero.

Traduzione di Marisa Bulgheroni, che fa un OTTIMO lavoro anche se sbagliano il suo nome! D'altronde è una traduttrice di rango. Ogni tanto i dialoghi fanno sorridere per il registro desueto, ma la Bulgheroni non ha paura di usare i termini inglesi quando necessita e lo fa con coerenza, in modo appropriato, invece di arrischiare invenzioni autarchiche: è una scelta adeguata e applicata con coerenza. La prosa di Wyndham ne esce interpretata bene, in modo dinamico e moderno. Il linguaggio è un piacere da leggere. Ogni tanto ci si imbatte in frasi sorprendenti che, pur fiorite, hanno una concisione descrittiva da applauso e ogni termine, sia comune che ricercato, è usato in modo giusto al posto giusto. In generale ottimo lavoro, niente traduttese in vista.

Pochissimi errori di battitura, molto meno della media Urania :D


RECENSIONE (SPOILER!)

Gli spoiler sono più nelle foto che nella recensione, perché la trama è incredibilmente movimentata e succedono un sacco di cose: anche solo un riassunto per grandi capi verrebbe lunghissimo. Inoltre sarebbe un peccato rovinare la storia a chi, come me, per qualche assurdo motivo non l’ha ancora letto. E poi sono pigro. E poi perché siete ancora qui? Leggetelo! È fico!

Vabbè, qualcosa da dire ci sarebbe anche.

The Day of the Tryffids (titolo originale che Urania riporta in maniera errata nella scheda dell’opera, dimenticando l’articolo) “si legge” come un buon film postapocalittico e non mi stupisce affatto che sia stato adattato più volte per il cinema. Mi sono imbattuto poco in Wyndham nel corso della vita, era difficile da trovare, ma l’ho sempre trovato immaginifico, realistico, temerario nel portare le sue premesse alle estreme conseguenze logiche. D’altronde molte sue opere, inclusi diversi racconti brevi, sono state adattate per lo schermo e c’è un motivo: Wyndham scrive romanzi notevoli!

Questo non fa eccezione. Offre uno scenario apocalittico agghiacciante che getta subito il lettore nel mezzo di un caos rivelato poco a poco in maniera tanto casual quanto inquietante. Il punto di vista in prima persona aiuta a entrare nella testa del protagonista, si è subito coinvolti e si esplora l’ambiente insieme lui, vivendo “in tempo reale” le stesse vicende. Ci si trova nei suoi panni, a ponderare le sue stesse scelte, a immaginare cosa faremmo. Wyndham è BRAVO, conduce la prosa con piglio sicuro dall’inizio alla fine: niente momenti fiacchi, niente gravi e brusche interruzioni della sospensione dell’incredulità.

Il povero sfortunato che seguiamo per una Londra improvvisamente deserta è un tipo che pensa. Per carità, per metà è un classico, rude eroe vecchio stampo senza compromessi, forte e deciso e con pochi dubbi, ma non risulta fastidiosamente macho o superumano: per l’altra metà quei dubbi sono seri, ben ponderati, la loro risoluzione non è scontata ed è sempre resa appassionante dalle scelte morali che si trova davanti e dalle forti emozioni che prova in una situazione così estrema. Agisce sempre in maniera plausibile per la situazione, sia emotivamente che razionalmente.

La controparte femminile è quello che si definiva al tempo una “ragazza emancipata”: famosa autrice di un romanzo scandaloso, ovviamente bella e seducente ma anche pratica, razionale e coraggiosa. È un peccato che si avvierà al ruolo di donna “tradizionale” nella nuova società che necessita bambini. Ciononostante non è un pupazzo né una damigella da salvare, ma una che sa quel che fa e se la cava per suo conto per mezzo libro. La trasformazione da uno stato all’altro è trattata in maniera non troppo superficiale e Wyndham vende bene sia la storia d’amore che l’urgenza della situazione. Il livello della narrazione rimane comunque alto.

Per quanto concerne la scienza non c’è niente di palesemente implausibile, a mio avviso, almeno di certo non per gli anni ‘50! Wyndham si fa lo scrupolo di cercare sempre la credibilità.

I trifidi sono MERAVIGLIOSI e  le illustrazioni (qui sotto) li rappresentano in modo fedelissimo alla descrizione. Li trovo sia carini che terrificanti, ma con tendenza al “carini” :D 

La loro biologia non è data in grande dettaglio, ma a sufficienza da essere plausibile. Sono una minaccia credibile, spaventosa, impossibile da fermare in un mondo in cui quasi nessuno vede più. Lo stesso dicasi per i lampi verdi che accecano dall’orbita  quasi tutta l’umanità: nel 1952 i razzi a malapena sapevamo che erano, in orbita non c’era ancora nulla e quindi ogni ipotesi era buona, ma  Wyndham la sua fisica la capiva e qui la usa quanto basta per venderci la cosa.

Mi piace anche il fatto che la colpa dell’apocalisse non sia attribuita a invasioni aliene, meteoriti, vulcani o chissà quale altra causa esterna, ma ponga il fardello sulle spalle dell’umanità che si è costruita da sola questo bel futuro da schifo con paranoia guerrafondaia e avidità incommensurabile.

In chiusura prosegue "Oltre l'invisibile", romanzo di Simak che recensirò quando avrò finito.

Sono pronto a scommettere che l’illustratore (Curt Caesar) non abbia ricevuto nemmeno una descrizione dei trifidi protagonisti del libro :D

Ex Libris

Scheda dell’opera, titolo originale e nome della traduttrice sbagliati

Si parte così, al fulmicotone. Incipit geniale

La quantità di bestemmie che profferisce la gente in questo libro è apparentemente spaventosa: credo che la traduttrice stesse cercando qualche equivalente di “swearing” che rendesse l’idea di imprecazioni MOLTO pesanti :D

Il disegnatore delle splendide illustrazioni interne è Carlo Jacono, copertinista tra l'altro di moltissimi Gialli Mondadori

Il primo trifido! Sono BELLERRIMI

Quando parlo di linguaggio fantastico intendo questo. “(...) dubito che ella mi udisse. Aveva concentrato di nuovo la sua attenzione sull’uomo che giaceva nel viale e teneva d’occhio il trifido ergentesi lì accanto”. Sintetico, elegante, chiarissimo.

FUGGITE SCIOCCHI!

Sono così carini

Bellissimo l’elicottero

Piattaforma orbitale per razzi


27 gennaio 2023

Urania n. 2 - Il clandestino dell'astronave di Lester Del Rey


CARATTERISTICHE EDITORIALI E FISICHE

Il volume presenta un ex libris con stemma araldico che ne rivela la precedente appartenenza alla biblioteca della famiglia Barea Toscan, anche se il libro apparentemente non fu mai catalogato a dovere (dati posizionali non compilati). Ciò spiegherebbe anche lo splendido stato di conservazione (almeno LEM 5): il libro deve aver trascorso al chiuso la maggior parte della sua esistenza.

Ha resistito egregiamente alla lettura, come il precedente, e d'altronde è in condizioni eccellenti: carta bianca, elastica, rilegatura ancora robusta.

Traduzione, più che decente e anche decentemente moderna, di Franca Molo, che di quando in quando fa a pugni con delle costruzioni in inglese fraintendendone completamente il significato (raro) oppure le ripropone uguali e fa niente se suonano col culo (il traduttese è una piaga da sempre).

C'è un discreto numero di refusi, tutti errori di battitura, ma nella media per un Urania: negli anni '90 era uguale, a riprova che certe cose non cambiano mai (nello specifico la pervicace certezza degli editori riguardo al fatto che i revisori di bozze non servano a nulla).

RECENSIONE (SPOILER!)

Un ragazzino poco meno che diciottenne ha passato tutti i test per far parte dell'equipaggio del primo razzo diretto verso Marte (si parte dalla Luna, dove abita il ragazzo). Niente di strano: nessuno nell'equipaggio raggiunge i 30 anni, stando alle descrizioni. Ma il razzo parte poco prima del suo compleanno quindi per legge non può salire. Anche i suoi genitori ne sono delusi.

Si imbosca ugualmente grazie a un amico suo che fa parte dei costruttori e, dopo l'inevitabile scoperta, lo ricevono a bordo con buona disposizione. Hanno l'opportunità di mandarlo indietro ma scelgono di non farlo. Il viaggio è costellato di episodi in cui la navigazione complicatissima li schiaffa in mezzo a nugoli di meteore ed è tutto un correre in giro fumando sigarette e saldando grossi pannelli metallici sui buchi o, in alcuni casi, chiudendoli con la gomma di una matita o il diario di bordo.

L'atterraggio su Marte è complicato perché hanno un motore fuori uso ed è difficile far atterrare dritto il razzo: infatti non riesce.

Si schiantano sdraiati e cominciano a lavorare per poter raddrizzare il razzo e partire, con limitazioni sul tempo disponibile fino alla finestra di lancio e il carburante.

Del Rey fa del suo meglio per mettere un po' di scienza come motore dell'azione: tutto è trattato con linguaggio plausibile per un periodo in cui lo stesso concetto di razzo era ancora piuttosto nuovo (i razzi infatti partono "dalle più alte cime montuose", a prescindere dalla latitudine, perché altrimenti fonderebbero in ascesa a causa del calore provocato dall'attrito con l'atmosfera :D) , anche se si vede chiaramente la "spinta" avventurosa erede dei romanzi più ingenui degli anni '30.

L'atmosfera di Marte sarebbe perfettamente respirabile se non fosse rarefatta, gli scafandri degli esploratori li tengono in vita semplicemente comprimendo l'aria esterna - anche se hanno l'opzione di usare bombole d'ossigeno. Questo pare del tutto plausibile date le conoscenze del tempo sull'atmosfera marziana, il che è un plus!

Anche le ipotesi sulla vita marziana sono affascinanti e ben radicate nel ragionamento, soprattutto le piante: vi sono vaste file di esse, che sono state scambiate per canali da Schiaparelli, che corrono dai poli all'equatore in una linea ininterrotta di radici superficiali simili a tubi che trasferiscono l'acqua dove serve.

Questo sembra intenzionale più che naturale, ma il dubbio viene mantenuto con vaghe ipotesi evolutive fino alla conferma che sì, quelle piante sono disposte a quel modo per mano dei marziani, che nel frattempo hanno deciso che siamo interessanti e ci spiano mentre scopriamo una loro città che pare abbandonata da "dieci milioni di anni" a giudicare dall'erosione delle rocce al vento marziano.

Sono aiutati in questo dal fatto che sono creature notturne e non sono stupidi, quindi capiscono come allentare le valvole delle tute degli umani per narcotizzarli con l'aria rarefatta e poi derubarli malamente di tutti quei giocattoli ipertecnologici.

Bella la scena della tempesta di sabbia perché Del Rey azzecca il fatto che si tratta in gran parte di polvere più fine a causa dell'atmosfera rarefatta.

Le riparazioni dell'astronave procedono a rilento a causa dell'azione disturbatrice dei marziani, che a un certo punto addirittura sabotano gli argani con cui i nostri stavano raddrizzando la nave. Non distruggono la nave, però: la appoggiano delicatamente in terra perché non vogliono ucciderci, vogliono solo che restiamo.

Il ragazzino protagonista è ovviamente quello che, dopo l'ultimo "attacco" dei marziani, li trova nella loro città sotterranea e scopre dove hanno nascosto gli equipaggiamenti. viene catturato e portato nelle gallerie sotterranee dove vivono i marziani odierni, sotto la città antica.

Salta fuori che i marziani erano una civiltà che ha lottato con tutte le forze per industrializzarsi su Marte e divenire a tutti gli effetti "civile". C'è un sacco di determinismo evoluzionistico nel romanzo, la vecchia concezione che l'evoluzione si applichi anche alle culture umane e che proceda con un senso e uno scopo ultimi, verso uno stato ideale che, ovviamente, è il nostro: i marziani stanno quindi scivolando nella barbarie perché le condizioni sono troppo aspre.

Ci stavano rubando le attrezzature perché uno dei loro anziani si era reso conto che grazie agli aggeggi terrestri si potevano riparare le loro antiche macchine e forse tornare a uno splendore dimenticato da secoli.

Non spoilero il finale.

A seguire c'è la seconda puntata di un romanzo di Simak che inizia nel primo numero e che dovrò tornare a rileggere: ho saltato la prima puntata dato che non avevo ancora i numeri successivi e a distanza di così tanto tempo non mi ricordavo ci fosse qualcosa in coda a Le Sabbie di Marte.

Gli alieni in copertina non hanno NULLA a che vedere con quelli descritti nel libro :D


Ex Libris


Scheda dell'opera

E da dove devi farli partire, 'sti razzi, se non dalla cima delle montagne? :D

Il Selenita la sa lunga + 4 VOLTE URANIA, SI CAPISCE CHE LA RIVISTA SI CHIAMA URANIA? URANIAAAAA!

Repetita juvant + I TIFOSI DELLA FANTASCIENZA!

Il libro su cui è stampato questo annuncio costava 150 lire, quindi 5000 lire non sono una somma su cui sputare!

Repetita juvant pt. 2. + "la scienza astrale"


15 gennaio 2023

Urania n. 1 - Le sabbie di Marte di Arthur Charles Clarke




CARATTERISTICHE EDITORIALI E FISICHE

La prima uscita della nuovissima collana de I Romanzi di Urania (in contrapposizione a Urania Rivista, qui la recensione del primo numero) appare in edicola nel mese di ottobre 1952 e contiene un romanzo di appena un anno prima. L'Italia era entrata da pochi anni in un dopoguerra pieno di ottimismo e finalmente arrivava sulle nostre sponde una bella fetta di quella letteratura anglosassone che il regime fascista non ci teneva particolarmente a far pubblicare. 

Arthur C. Clarke, già famoso all'estero per la sua narrativa breve attenta agli aspetti scientifici, fu scelto per aprire la serie.

The Sands of Mars è il suo terzo romanzo, quello che lo consacra definitivamente come pioniere della hard science fiction, quel sottogenere della fantascienza attento alla plausibilità in cui l'accuratezza scientifica non solo è importante ma spesso anche il motore della storia. Esce per la prima volta nel 1951 in UK per i tipi di Sidgwick&Jackson e ha da subito un notevole successo, tant'è che nel giro di quattro anni avrà già 11 versioni estere inclusa questa e quella giapponese. 

Il numero che ho la fortuna e il privilegio di avere a scaffale è la seconda traduzione dell'opera in assoluto (preceduta da quella tedesca) e la terza edizione estera (preceduta solo da quella americana), il che rivela qualcosa della lungimiranza di Giorgio Monicelli, curatore della testata, nello scegliere cosa pubblicare. 

Il volume è in condizioni strepitose. Presenta un ex libris con stemma araldico della famiglia Barea Toscan, come il numero 2 in mio possesso, anche in questo caso senza dati posizionali e, parimenti, lo stato di conservazione è incredibile. Colori brillanti, rilegatura squadrata, angoli in buone condizioni, pagine ragionevolmente bianche, costina dritta e pulita.

Ai più non dirà molto, ma ai vecchi collezionisti rivelo che si tratta di uno UOR2 - cioè una specifica versione del primo numero di Urania, di cui esistono diverse stampe contemporanee. Si ipotizza fosse perché Mondadori si era servita di piccoli stampatori con un controllo qualità non proprio eccellente. Non starò a dilungarmi sulle differenze tra le varie versioni, ci ha già pensato l'illustrissimo Custode, ma riguardano il tipo di font dei numeri di pagina, la suddivisione in sedicesimi, l'uso di fili da legatoria o meno e altri indizi tipografici.

Parlo subito dell'elefante nella stanza: c'è un clamoroso errore di battitura sulla costina. "Clarke" diventa "Clark" nonostante la copertina riporti il cognome corretto! Questo però è normale: non sono in possesso di una rarissima copia "fallata", sono proprio tutte così e il difetto è persino stato riprodotto nella copia anastatica che Mondadori pubblicò nel 1982 per celebrare il trentennale della collana.

La traduzione è della bravissima Maria Gallone, di cui non riesco a reperire informazioni biografiche: so solo che ha tradotto autori di spessore nel campo della fantascienza, del fantastico e del giallo (Arthur Conan Doyle, tra gli altri). La signora meriterebbe una voce sull'enciclopedia perché sapeva fare molto bene il suo lavoro: la incontreremo ancora nel corso della serie. Il suo lavoro su Le sabbie di Marte è avventuroso ma non dilettantesco, anzi. Certo, si trovano curiose locuzioni come "congegno di propulsione potentemente radioattivato", ma sono di norma tentativi ragionati di traslare in italiano concetti decisamente nuovi. La traduzione è permeata di termini per noi desueti e fioriti, come l'uso di "dottrina" per dire "conoscenza" o "progettatori" per "progettisti", ma non è un problema perché sentir chiamare "romanzetti" le relazioni sentimentali e vedere il rumore di fondo della radio descritto come un "tumultuante sobbollimento d'interferenze cosmiche" vale dieci volte il prezzo del biglietto!

I refusi abbondano, nella "miglior" tradizione uraniana chiamata "Revisione di bozze? NO GRAZIE!": Encelado diventa "Encladus", ad esempio, lasciandomi sospettare che la Gallone non abbia trovato il nome italiano di quella specifica luna di Saturno e si sia chiaramente dimenticata una "e" nel trascrivere l'originale in inglese. Ne ho contati una dozzina, poi ho smesso. Questo all'inizio era normale perché Monicelli, in realtà, non aveva una vera e propria redazione e nemmeno un ufficio: la redazione era casa sua, era lì che avveniva la maggior parte del lavoro e non c'erano collaboratori residenti. Si faceva tutto per posta, per telefono o durante riunioni casalinghe. Dalla sua scrivania passavano le traduzioni e le illustrazioni, unico aiuto sua moglie Maria Teresa Maglione, valente autrice e traduttrice anche lei. Solo qualche anno dopo sarebbe arrivata la mitica Andreina Negretti - a cui dobbiamo, ahimè, i rilevanti tagli per cui Urania fu sempre famigerata almeno fino alla gestione Fruttero & Lucentini inclusa. Può sembrare strano che un editore tanto importante apra una testata con così scarsi investimenti, ma al tempo Urania era una scommessa audace ed è ragionevole che Mondadori non intendesse rischiarci troppo. Prova ne sia il fallimento di Urania Rivista dopo soli 14 numeri.

Terminate queste note storiche - e ci sarebbe ancora molto da dire - arrivo alla recensione, ma prima permettetemi una piccola confessione: aprire questo libro per la prima volta mi ha emozionato.
Ho sentito il tuffo al cuore di Indiana Jones davanti all'Arca dell'Alleanza: questo è l'inizio della storia della fantascienza in Italia come letteratura di massa. Comincia tutto qui. C'erano stati alcuni esperimenti semi-amatoriali condotti da editori più piccoli, ma erano tutti morti nel giro di pochi numeri. Nei primi cento Urania, invece, dietro cui c'erano la Mondadori e un curatore competente, nasce molto del lessico fantascientifico in uso ancora oggi grazie a traduttori avventurosi costretti a improvvisare tra neologismi mai sentiti e concetti astrusi difficili da capire, figuriamoci da rendere, e si definiscono anche, numero dopo numero, gli stilemi dell'illustrazione di genere nel nostro Paese grazie a Caesar, Iacono, BELT e gli altri (curiosamente questo volume non contiene illustrazioni, però, che fanno la loro comparsa a partire dal numero 3).

Per capire quanto pionieristica sia stata questa collana basti pensare che, nella scheda dell'opera redatta da Monicelli, troviamo il primo uso attestato del termine fantascienza - anzi, "fanta-scienza", come si vede in foto qui sotto, ma d'altronde era una parola appena inventata!

Sarà un onore fare con voi questo viaggio, spero vi entusiasmi almeno la metà di quanto elettrizza a me.


RECENSIONE (SPOILER!)
Fin dalle prime righe facciamo la conoscenza di Martin Gibson, giornalista e autore di "fanta-scienza" nonché palese self insert di Clarke nel libro, impegnato in conversazione col pilota del razzo a propellente chimico che lo porterà a 2000 chilometri di quota - alla prima stazione spaziale in orbita terrestre sia per anzianità che per distanza. Va su Marte per scrivere le sue impressioni di un mondo in via di colonizzazione e venderle ai giornali.

Clarke, esibendo la caratteristica principale della sua cifra stilistica, si butta subito a capofitto in accurate descrizioni tecniche che elicitano il sense of wonder del lettore il quale, nel 1951, non aveva altro modo di farsi un'idea di come potesse essere trovarsi nello spazio: quando è uscito questo romanzo niente aveva ancora oltrepassato l'atmosfera. Il primo satellite, lo Sputnik, andò in orbita solo nel 1957. Quando Gibson, all'inizio del libro, arriva alla stazione da cui partirà per Marte, la sue esperienza di trovarsi all'interno di una ciambella rotante è descritta con dovizia di particolari e spiegazioni, regalando un senso di immersione affascinante e totale. Clarke descrive ogni cosa scendendo nel dettaglio senza annoiare ed è impressionante vedere come la sua immaginazione assomigli alla realtà fisica, che oggi conosciamo bene, della permanenza e del viaggio nello spazio. L'intero romanzo è così. Attraverso il punto di vista di Gibson viviamo con lui lo sconcerto di vedere persone che lavorano su tutte le pareti della Ares, la nave che lo porterà su Marte nel suo viaggio inaugurale, dato che si trovano in microgravità. La forma stessa della nave appare assurda, non assomiglia affatto a un razzo cromato inutilmente aerodinamico come nei fumetti. Dato che non entra mai in atmosfera la Ares è costituita da due sezioni sferiche, una per l'equipaggio e una per motori e carburante atomico, collegate da un tubo a creare una forma simile a un manubrio da pesistica. Clarke descrive correttamente persino una fionda gravitazionale intorno alla Terra che serve alla nave per raggiungere in economia la velocità necessaria per il viaggio. Oggi queste cose possono sembrarci relativamente ovvie (e comunque moltissimi registi ancora non ci sono arrivati, troppe sono le astronavi simili ad aerei) ma al tempo era inconcepibile avere in qualche romanzo descrizioni così realistiche, basate nella fisica.

La prima parte del romanzo, circa un terzo, è dedicata alla descrizione del viaggio sotto ogni aspetto, soprattutto i più tecnici, e contiene una deliziosa discussione molto metatestuale tra Gibson e un membro dell'equipaggio riguardo all'annosa questione "la fantascienza è vera letteratura? Che valore ha se viene superata dalle conoscenze scientifiche?", che al tempo era ancora controversa. Veniamo quindi introdotti al funzionamento della Ares, degli "scafandri spaziali", cilindri rigidi con propulsori e braccia articolate comandabili dall'interno, nonché un cavo di sicurezza agganciato alla nave durante le attività extraveicolari - esattamente come gli astronauti odierni, nonché delle varie attività di bordo, fino all'arrivo su Marte. O, più precisamente, su Deimos, da cui Gibson prende un razzo per la superficie e ci vengono deliziosamente descritti l'entrata in atmosfera, la frizione per dissipare accelerazione e il plasma che avvolge il razzo... tutto questo 6 anni prima del primo satellite. Una volta ammartati scopriamo che stanno costruendo una cupola climatizzata di trecento metri di diametro per espandere il già "esacupolato" insediamento di Porto Lowell, nell'omonimo cratere.

Come si è ormai compreso qui, dal punto di vista della plausibilità, siamo nell'empireo. Basti pensare che Clarke, ben prima che ne esistesse uno, fu il primo a descrivere compiutamente un satellite geostazionario e la relativa meccanica orbitale. L'accuratezza scientifica è parte integrante della storia, motore dell'azione, generatrice di sense of wonder. Clarke è maestro nel fare ciò che, secondo me, dovrebbe fare ogni buon romanzo di fantascienza: estrapolare in maniera credibile rimanendo con i piedi ben piantati a terra, a partire dalle conoscenze del momento in cui si scrive, senza particolari concessioni alla "fanta" e con grande rispetto della scienza. Basti portare ad esempio il fatto che, in microgravità, tutti bevono succhiando da contenitori a bulbo, idea per il tempo assolutamente rivoluzionaria, e che si dorme assicurati alle brande con fasce elastiche. Ci sono delle eccezioni (a bordo della Ares tutti fumano, ad esempio), ma Clarke riesce a rendere plausibile persino il cambiamento societario conseguente all'avanzamento tecnologico: in questo mondo gli universitari al secondo anno, come "lavoretto estivo", si imbarcano sui razzi che fanno la spola Terra-Luna,  così imparano pure il mestiere. O ancora, c'è polemica sulla Terra riguardo ai "soldi buttati su Marte" per la creazione di una nuova società, che appare inutile all'opinione pubblica e anticipa di 10 anni le analoghe obiezioni che saranno sollevate verso le prime missioni Gemini e Apollo.

Ciò non vuole dire che non vi siano difetti sotto questo aspetto, dovuti di norma alle scarse o errate conoscenze che avevamo in quel periodo. Per dirne qualcuna:
  • su Marte si indossano comunissimi vestiti di stoffa e basta una maschera a ossigeno per farsi una passeggiata all'esterno;
  • si può benissimo parlare senza radio;
  • ci sono piante autoctone e vi crescono fiori terrestri;
  • Fobos (Phobos nel testo, come in originale) e Deimos, la cui forma è indistinguibile dalla Terra, sono perfettamente sferici. 
È difficile fare un riassunto della trama: non succede quasi niente. L'elemento umano è quasi assente, come è comune nella hard sf, e tutto si gioca nel condurre il lettore per mano su un mondo alieno in via di colonizzazione per "fargli vedere il paesaggio", per così dire. Si resta affascinati dal modo in cui i coloni marziani di Porto Lowell estraggono ossigeno dalla sabbia ossidata per rendere l'atmosfera sotto le cupole più simile a quella terrestre e rimuovono l'anidride carbonica grazie a piante terrestri importate (che crescono fino a dimensioni colossali a causa della bassa gravità). La carne si produce in laboratorio, le colture sono idroponiche. Non c'è aspetto della colonizzazione marziana che Clarke non si sia sforzato di rendere realistico fin nei dettagli più minuti.

Anche gli accidenti che capitano a Gibson nel corso della sua permanenza sono solo una scusa per sfoggiare la scienza. Nel corso di uno di essi un personaggio descrive Saturno e il suo sistema di lune e anelli in modo incredibilmente realistico, poi ci sono alcune argute invenzioni relative a fauna e flora marziane... e non dico altro, perché sarebbe un peccato rovinare l'unico, singolo "colpo di scena" del libro.  Le virgolette sono lì perché non arriva come una sorpresa, si capisce da 100 pagine prima, ma il punto, con Clarke, non è quello: è farci restare a bocca aperta con le meraviglie del possibile, pervasi da un ottimismo per il futuro che troppo spesso manca nella fantascienza degli ultimi anni.

Il numero si chiude con la prima puntata del romanzo Oltre l'invisibile di Clifford D. Simak, una rubrica scientifica in cui si parla di comete con adeguata proprietà (l'unica cosa che proprio non sapevamo era la loro genesi) e una sezione enigmistica.

La prima, fantastica copertina di Curt Caesar per Urania: inizio col botto!

Non fanno più i libroni divulgativi di prestigio di una volta

L'impeccabile costina col terribile errore di battitura: chi mal comincia... a quanto pare poi ha una vita editoriale di oltre 70 anni. Sorprendente!

Al tempo Mondadori era già una casa editrice importante e pubblicava un po' di tutto

Frontespizio con ex libris

La scheda del romanzo, opera di Monicelli, con la prima attestazione del termine "fantascienza"

Si comincia!

Diversamente dai 99 numeri successivi (e oltre) questo non contiene illustrazioni: ci sono solo le pubblicità che, dopotutto, sono l'anima del commercio

Pubblicità di Urania Rivista: 160 pagine per 150 lire erano un affarone

Il romanzo a puntate di Simak

"Il fatto incredibile" è la versione vintage di "me l'ha detto mio cuggino"

"Repetita iuvant" era un motto che avevano a cuore in redazione, con grande evidenza

No, niente damigelle illibate con gravi problemi psichiatrici: si parla di comete

Che rivista Mondadori degli anni '50 sarebbe senza enigmistica?

Il piano dell'opera include romanzetti da niente, proprio

Ultima pubblicità interna, giustamente dei Gialli che al tempo erano una delle testate di punta della casa editrice

12 gennaio 2023

Urania Rivista n. 1 di AA.VV.

Urania Rivista numero 1 (uscito il primo di Novembre 1952) presenta un romanzo breve, 4 racconti, la prima parte di un romanzo a puntate, un articolo scientifico, una stramba rubrica e la posta. Il libro ha resistito senza inconvenienti alla lettura, essendo ancora molto elastico e robusto. Ovviamente è stato letto con amore e in obliquo per non piegare la costina, a mani aperte per non piegare la copertina, ma ho arrischiato qualche presa più audace per breve tempo e avrei potuto leggerlo non dico a una mano sola, ma insomma. Non noto alcuna differenza significativa nella struttura e nella conservazione e la cosa non potrebbe farmi più felice.

TRA I VAMPIRI DI VENERE
PHILIP LATHAM
Un tizio trova lavoro sulla Luna e si porta dietro la famiglia. Il razzo precipita su Venere. Venere è abitabile (come scrivono nell'articolo a fondo rivista, anche nel 1952 si sapeva benissimo che non c'era vita su Venere), ha interessanti forme di vita vegetali bioluminescenti ma anche dinosauri e uomini pipistrello. Le tute spaziali sono chiamate "costumi interplanetari", il carburante del razzo è "fluido interplanetario" e il termine doveva andare fortissimo perché è usato un po' per ogni cosa in cui noi oggi diremmo "spaziale". Divertentissimo e affascinante, seppur a tratti goffo e quasi ridicolo letto con gli occhi di oggi. Unico racconto in cui una donna fa qualcosa in autonomia, in tutto il resto sono suppellettili e bambine isteriche. I traduttori andavano un po' a lume di naso ed è meraviglioso vedere com'erano i primi tentativi di costruire un lessico fantascientifico.

LA CASA DEL PASSATO
FRITZ LEIBER
Racconto molto sentimentale ma con quasi nulla di fantascientifico. Un po' raccogliticcio, scritto malino anche per i tempi, un po' pesante di mano coi cliché e non tanta fantasia. Tratta delle implicazioni della clonazione con audace disinvoltura e un tono romanticamente melenso. Ma vabbè, a me Leiber di norma non piace.

TERRORE
RICHARD MATHESON
Matheson in grandissimo spolvero con le sue pippe mentali sulla psicologia umana. C'è una colonia di terrestri che ha perso i contatti ed è finita schiava di una razza aliena... morta secoli prima. È complicato.

L'IMPOSSIBILE FUGA
ROGER DEE
Non fidatevi del vostro portinaio se ha tre occhi e nasconde grossi macchinari in cantina. Colpo di scena finale assolutamente fantastico. La miglior traduzione del mazzo, ma povere donne: capiscono tutto fin dal principio e i due mariti le trattano come bambine lunatiche per mezzo racconto mentre si fidano istantaneamente l'uno dell'altro.

LO STRANO CASO DI JOHN KINGMAN
MURRAY LEINSTER
Racconto interessante e intelligente, in cui un ricoverato polidattilo in un manicomio si rivela molto di più e nel contempo una gran delusione. Arguto e ben scritto, evviva Leinster.

MOSTRI - 1° puntata
F.L. WALLACE
Romanzo a puntate, ignorato: non lo leggerò finché avrò tutte le puntate, se mai le avrò.

COSA PUO' DIRCI LA SCIENZA SU VENERE - La scienza di Urania
Pochissimo, nel 1952. L'articolo funge un po' come "critica scientifica" del romanzo breve. Già si sapeva dal 1932 che non poteva sostenere la vita come la conosciamo perché lo spettroscopio indicava zero ossigeno, ma ogni altra cosa ci era praticamente ignota. Cosa c'è sotto le nuvole? Boh. Acqua? Boh. Temperature? Boh. Geologia? Boh. Le nuvole sono stratificate o omogenee? Boh. MERAVIGLIOSO.

IL FATTO INCREDIBILE
Rubrichetta in cui il curatore apre raccontando di aver vissuto nella realtà una scena che aveva sognato la notte prima, afferma con sicumera di essere certo che tali eventi avvengano, poi esorta i lettori a mandargli testimonianze personali (ma con delle "prove" che confermino la veridicità del racconto, non si specifica di che tipo) di fatti inspiegabili e sovrannaturali da loro vissuti. Un po' di superstizione ci sta pure nella fantascienza, pare :D
Nell'angolo della posta Il Selenita, curatore, rispondendo a un "tifoso" della fantascienza (tenerissimo tentativo di rendere il concetto di "fan" in italiano), lo rassicura dicendo che gira voce che a Hollywood stiano pianificando una serie di "film interplanetari". Il termine andava davvero fortissimo! Apprezzabile il tentativo di correggere le errate impressioni di una lettrice sui pianeti del sistema solare anche se al tempo si pensava, pare, che Plutone fosse grande "almeno quanto Marte".

A livello tipografico ci sono quattro righe scambiate tra loro in due diverse pagine e mi sono accorto di un solo errore di battitura. Non la miglior cura editoriale ma buona media per un prodotto del genere.


Copertina

Guanti Bianchi

Modo impietoso di definire gente mutilata ma nel 1952 non ci andavano per il sottile

Astronavi nel '700!


Un RazzoPalazzo!

Pubblicità di una nuova serie da edicola


Pubblicità in cui sbagliano il nome di Wyndham

Pubblicità di un "romanzetto da niente", uscito in prima edizione proprio col numero 3 de I Romanzi di Urania

02 gennaio 2023

Recensioni in Guanti Bianchi?

Salve, sono uno che legge fantascienza.

Tanta fantascienza.

Ho anche una brutta fissazione per i libri vecchi.

Ho trascorso gli ultimi due anni raccogliendo i primi 100 Urania in condizioni eccellenti (almeno LEM 4.5) e ora che li ho tutti leggerò quelli che già non conosco (o che mi va di rileggere).

Se vi state chiedendo scandalizzati perché dovrei fare una cosa così folle e avventata: perché sono miei, ne ho privilegio e un libro non letto - come sono certo sia il caso di alcuni dei numeri che mi sono procurato - non è un libro amato.

Ho ovviamente anche motivazioni più profonde: ad esempio un enorme amore per la fantascienza e per Urania, che mi ha permesso di leggere cose fantastiche quando non avevo una lira (sia perché costava poco sia perché la biblioteca comunale era piena di questi volumetti bianchi con la striscetta rossa sul dorso) e mi ha cambiato la vita, aprendomi la mente e aprendomi al mondo. Sto vivendo attraverso le edizioni originali l'era pionieristica della fantascienza in Italia, in cui ancora non esisteva un lessico specifico, le traduzioni erano avventurose e i romanzi ingenui, pieni di entusiasmo per un futuro immaginato in modo che oggi ci fa sorridere... è un'emozione che francamente non pensavo si sarebbe rivelata così intensa. 

BIBLIOFILI E COLLEZIONISTI, LEGGETE QUI

Nessun libro è stato o sarà danneggiato nel corso di questa avventura.

Leggo ogni volume con guanti bianchi in puro cotone per non sottoporli alle mie unte zampacce, con amore e in obliquo per non piegare la costina e a mani aperte per non piegare la copertina. Sono scrupoloso, durante la lettura, nel fermarmi e verificare periodicamente lo stato e l'integrità del volume, dalla costina agli angoli, dalle copertine alla rilegatura ecc. Non ho finora mai notato alcuna differenza significativa nella struttura e nella conservazione pre- e post-lettura.

Ogni volume è conservato in apposita busta acid-free lontano da luce e polvere.

Quindi ecco di che si tratta: leggo quelli che mi va, li fotografo e li recensisco.

Spero vi piaccia!