CARATTERISTICHE EDITORIALI E FISICHE
Il volume è in condizioni eccezionali, facilmente LEM 5. A parte qualche lievissima macchia di umidità sulla costina e nelle pagine interne, è intonso: robusto, squadrato, flessibile, spigoli ottimi, carta ancora bianca e colori vivi. Deve aver trascorso gran parte della propria vita in uno scaffale chiuso, al riparo da luce e polvere.
Sul risvolto troviamo la firma a me incomprensibile del precedente proprietario (voi cosa ci leggete?) e data di uscite, nonché presumibilmente di lettura, del volume.
Il titolo originale è Star Kings e fu pubblicato per la prima volta su Amazing Stories a partire dal Settembre 1947, poi in hardcover nel 1949 per i tipi di Frederick Fell, Inc. e in paperback da Signet Books nel 1950 col titolo di Beyond the Moon. Trovare maggior informazioni è complicato, a riprova che il romanzo non sembra aver lasciato impronte durature sul mondo della fantascienza.
Ciononostante Hamilton non era un novellino quando lo scrisse: il suo primo racconto pubblicato risale infatti al 1926, quando Weird Tales gli accetta The Monster-God of Mamurth, ma la fama arriva solo tre anni dopo con una serie di racconti lunghi e brevi (collettivamente chiamati La pattuglia dello spazio) che lo consacrano come esponente di spicco della space opera del tempo.
Non uno scrittore eccellente, almeno a mio modo di vedere, fino a che, nel 1946, non sposò la fenomenale Leigh Brackett (la sceneggiatrice de L'Impero colpisce ancora, per dare un'idea della sua caratura... su questo blog vedremo presto il suo La legge dei Vardda, Urania n. 26). L'influenza della (secondo me) più brava moglie migliorò di molto la sua prosa, che si arricchì in termini di dimensione umana e personaggi meno piatti.
Tornando alla presente edizione, devo purtroppo rilevare che ci sono più refusi del solito. Questo numero deve essere stato redatto in fretta e furia. Non si tratta solo di errori di battitura, ma vere e proprie notevoli sviste che non sarebbero lì se Urania avesse avuto un editor. C'è almeno un passaggio in cui Gordon passa dal tu al voi, chiaramente sfuggito al traduttore, e altri in cui un nome viene scambiato con un altro: in un punto una certa Lianna accompagna... se stessa in camera sua, quando la logica della scena e della frase implicano che sia stato il suo fidanzato.
Le illustrazioni sono del sempre evocativo BELT, la cui identità rimane per me un mistero.
Curiosità aggiuntiva: questa pare essere l'unica edizione italiana del romanzo, non sono stato in grado di reperire ristampe in alcuna collana Urania né di altri editori.
RECENSIONE (SPOILER!)
John Gordon è un reduce della Seconda Guerra Mondiale che ha combattuto nel teatro del Pacifico. Una notte, poco prima di addormentarsi, sente nella testa una voce che dice di appartenere a Zarth Arn, il principe di un impero stellare duecentomila anni nel futuro. Il povero John, sconvolto da questo curioso accadimento, pensa dapprima di stare subendo un episodio allucinatorio in seguito a quello che oggi chiameremmo disordine da stress post-traumatico, ma la cosa si ripete nelle notti seguenti e si rivela essere del tutto reale.
Scienziato e nobile, erede designato dell'Impero Centrale che comprende "tutte le costellazioni che si trovano al centro della Via Lattea", Arn comunica telepaticamente a John che questo, per lui, è un interessante passatempo escogitato per saziare la sua fame di conoscenza e nulla più.
Ha infatti l'abitudine, grazie a un apparato di sua concezione chiamato "ideofono" (un discendente dell'elettroencefalografo), di scambiarsi la mente con esseri umani del passato per poter vivere in prima persona l'esperienza di epoche remote e studiare l'evoluzione umana. Lo sta contattando per chiedergli se sarebbe disposto a barattare la mente con lui per qualche tempo, una specie di scambio culturale. John, mentre Arn occupa il suo corpo, si godrà il futuro del bimillesimo secolo "indossando" le spoglie mortali del principe e sarà affidato alle cure del suo assistente Vel Quen, che dopo qualche giorno lo rimanderà nel suo corpo e nella sua epoca con il fantastico ideofono.
John obietta che si sentirebbe spaesato, e che di certo non è pronto a recitare il ruolo di principe di un impero galattico, ma Arn lo rassicura che non dovrà farlo: lui è uno scienziato che non partecipa alla vita di corte, trascorre l'esistenza nella sua torre sulla Terra, che è un isolato pianetucolo di periferia in cui nessuno lo disturberà, e il suo apparecchio è segreto al punto che solo Vel Quen sa che esiste e sa manovrarlo. Dopo qualche spiegazione del processo, adescato dalla possibilità di visitare un futuro tanto remoto e conoscerne le meraviglie, John si lascia convincere e si ritrova, ancora un po' incredulo, nell'anno duecentomila e rotti con l'aspetto del principe, precisamente come promesso.
Ovviamente è qui che cominciano i guai: la turrita dimora del principe viene attaccata da un commando della Lega dei Pianeti Oscuri, principale nemica dell'Impero Centrale, che scambiano Gordon per Arn e cercano di rapirlo.
John viene salvato dai soldati di suo padre e viene richiamato nella capitale Throon su Canopo, dove lo attendono - fra gli altri - la sua amante e la sua promessa sposa. Questo è un guaio, perché - come volevasi dimostrare - tutti credono che sia il principe ereditario, il che gli rende impossibile tornare sulla Terra e tornare nella sua epoca.
Inizia così una sarabanda di avventure spaceoperistiche piene di movimentati viaggi interstellari, sordidi complotti, rapimenti a destra e a manca, sparatorie mozzafiato, atti eroici, salvataggi in extremis, triangoli amorosi, vili tradimenti, equivoci pericolosi, colpi tanto di fortuna quanto di genio, persino una guerra galattica contro Shorr Kan (nome FANTASTICO che pare preso di peso dal Libro della Giungla) e la Lega dei Mondi Oscuri... e chi più ne ha più ne metta. Non la riassumerò perché altrimenti vi toglierei il gusto della lettura. In un romanzo di avventura, il senso è l'avventura, quindi non commetterò il crimine di rovinarla se non per rilevare che pare un feuilleton di cappa e spada ambientato nello spazio - il che non è una brutta cosa! Il tutto si conclude con un bel lieto fine, come da tradizione, e questo ve lo dico perché è così ovvio che non mi pare uno spoiler.
Parlerò invece delle sensazioni che mi ha suscitato il libro e delle tante belle cosine molto anni '40 che vi sono contenute.
Il mondo descritto da Hamilton ricorda molto certi romanzoni di avventure esotiche alla Salgari. Ci si sposta da un pianeta all'altro come se si andasse al bar, è pieno di viste insolite e stranezze... beh, esotiche, e non mancano le invenzioni graziose e interessanti, come ad esempio la suddivisione geopolitica della Galassia in vari regni feudali con diversi costumi.
L'elemento politico è molto marcato. L'Impero Centrale è costituito, proprio come in antichità, da una federazione di regni più piccoli, ognuno col proprio regnante, ed è una situazione la cui gestione richiede accurate mosse diplomatiche che, pur descritte in modo un po' ingenuo, sono dignitosamente plausibili. Non si ha mai l'impressione che le varie fazioni abbiano motivazioni insensate.
Hamilton si premura inoltre di trovare spiegazioni e giustificazioni vagamente scientifiche per tutte le sue trovate, pur se con una certa, comunque perdonabile, propensione all'infodump. Vi risparmio quelle relative alle modalità di trasmissione di un'intera mente umana attraverso duemila secoli, che sono confuse, piene di technobabble ante litteram e in generale basate su misteriose "onde" e "armoniche" con tanto elettromagnetismo buttato a caso. Ho incluso qualche esempio nelle foto.
Vale però la pena dire, tanto per darvi un'idea, che le astronavi viaggiano a trenta milioni di chilometri al secondo grazie a invisibili "raggi di pressione" che generano spinta interagendo con la polvere interstellare. La loro frequenza si situa "trenta ottave al di sotto dello spettro visibile". Raggi analoghi che si trovano "alla quarantaduesima ottava" sono così veloci da consentire comunicazioni apparentemente istantanee da un capo all'altro della galassia.
Il tutto ha un sapore molto vintage per noi adesso, ma al tempo probabilmente suonava abbastanza plausibile per chi avesse un'infarinatura dei concetti citati - ergo, probabilmente, una buona fetta dei lettori del genere, che era molto più da nerd di adesso.
Alcune trovate poi sono più plausibili e reggono meglio di altre, anche se rivelano una certa ingenuità. Tanto per fare un esempio, gli esseri umani hanno tutti pelle di colore diverso, a seconda del colore della stella sotto la cui luce sono nati e cresciuti, il che è una bellissima cosa! L'ingenuità sta nel fatto che chi è cresciuto sotto una gigante rossa ha la pelle rossa come un peperone, lo stesso dicasi per stelle blu e via dicendo. Immaginare tutta questa gente in ogni sfumatura dell'arcobaleno, dal giallo al verde rubino all'arancione, è delizioso e ha un fascino tutto suo.
Bello il "paralizzatore", che è praticamente profetico: del tutto analogo a un taser moderno, ha due punte tra cui si sviluppa un arco elettrico e funziona in maniera assolutamente identica.
La cosa che più mi ha colpito però è il modo in cui Hamilton descrive lo spazio e le navi spaziali. Il romanzo esce nel 1947 e, al tempo, non solo nello spazio non c'era mai stato nessuno se non, proprio quell'anno, alcuni moscerini della frutta, ma le conoscenze e, soprattutto, le immagini che avevamo a disposizione erano scarsissime. Parliamo dell'anno in cui riuscimmo per la prima volta a scattare una foto della Terra dallo spazio, grazie a una fotocamera montata su un razzo V2 - uno di quelli progettati da Wernher von Braun, il nazista ufficiale delle SS arruolato dagli USA dopo la guerra per sviluppare il loro programma spaziale.
Ebbene, nel romanzo i "navigli siderali" attraccano a dei "porti" altrettanto "siderali" la cui descrizione include banchine, gru e moli. Non sto a girarci intorno: sono porti marittimi. La prima volta che se ne incontra uno, quello della capitale Throon, si trova "sulla costa" e c'è dell'acqua nelle immediate vicinanze... non so se Hamilton ha deciso che le astronavi sono più "navi" che "astro" o se c'è lo zampino di Dalloro che fraintende completamente quel che sta leggendo, ma io propendo per l'ipotesi che sia farina del sacco di Hamilton, perché l'analogia spazio=mare si riscontra anche nell'evocazione di "tempeste e cicloni siderali". A un certo punto, si scopre persino che dette astronavi hanno dei canotti di salvataggio e quando entrano in una "nebulosa" – che l'autore descrive pari pari a un banco di nebbia – si evitano l'un l'altra suonando continuamente le loro sirene. Ripeto: si evitano suonando le sirene nella nebbia.
Impagabile :D
Il linguaggio della traduzione, poi, è meraviglioso come di consueto, inclusi i neologismi che Dalloro si ingegna a creare, come "ideofono" o "telestereo" (un sistema simile alla televisione), senza contare che le lunghe, ubique pistole sparano "pastiglie atomiche" che esplodono una volta penetrate nel corpo della sfortunata vittima e tutti usano un linguaggio desueto che adoro: le donne nobili parlano "alteratamente" (ovvero in modo altero), "egli" non borbotta, "barbuglia" e c'è un bel monito a "non correre quest'alea".
Chiudo con una nota curiosa: Hamilton tira fuori nel romanzo il concetto di matrimonio morganatico, in cui mi sono imbattuto tanti anni fa, all'inizio dei miei studi sociologici. Si tratta di una forma di unione tra persone di rango sociale differente e di norma implica tutti gli usuali diritti e doveri del matrimonio, con la differenza che il partner di rango inferiore non acquisisce i titoli e i privilegi del partner di rango superiore. Succedeva anche nella nobiltà europea fino a non troppo tempo fa, quando un regnante sposava una cittadina comune: Vittorio Emanuele II di Savoia sposò morganaticamente Rosa Vercellana nel 1869, per dire.
In definitiva il romanzo mi ha divertito e lo consiglio a tutti gli amanti della space opera classica. Di sicuro intrattiene! Non c'è un momento di noia, l'avventura è sempre dietro l'angolo, i cattivi sono cattivissimi, John Gordon si fa amare facilmente e i personaggi sono in generale simpatici - incluse le donne, che dimostrano un piglio deciso e indipendente non comune nella letteratura fantascientifica del tempo e che Hamilton, pur essendo lontano dagli standard odierni, tratta senza soverchia condiscendenza.
Il volume si chiude con un estratto di un romanzo di Nero Wolfe (mai perdere un'occasione di pubblicizzare la collana sorella più famosa, i Gialli Mondadori!), il consueto angolo enigmistico e la rubrica scientifica che parla di quando andremo sulla Luna. La previsione ci azzecca, "entro una generazione", e descrive i pericoli che incontreremo: "radiazione cosmiche", meteoriti di ogni dimensione e una superficie del tutto ignota ("uno strato molto sottile di crosta potrebbe nascondere grandi crepacci").
L'autore si dilunga poi nella descrizione degli aspetti tecnici del viaggio fin lì, fornendo dettagli aggiuntivi rispetto a una precedente rubrica che si occupava dello stesso argomento nel numero 13. Il modo in cui si immaginava che sarebbe andata riflette la grandiosità tecnologica descritta da Asimov o Clarke, con una spedizione di 50 uomini, tre "astrorazzi" da costruire in orbita terrestre - lunghi 24 metri e capaci di trasportare ognuno 285 tonnellate di carico - nonché una base gigantesca che avrebbe consentito a tutto l'equipaggio, composto in prevalenza da scienziati, di rimanere sulla Luna per settimane di fila.
Si descrivono i rover, "grossi autocarri simili a carri armati montati su cingoli" con "cabine a pressione interna" capaci di contenere sette persone con relative, ampie scorte di ossigeno, cibo e acqua per esplorare "la zona circostante in un raggio di 400 chilometri". Si ipotizza che le materie prime che potremmo trovare sulla Luna potrebbero persino consentire la costruzione di colonia sotto "una grande cupola plastica con la sua propria atmosfera sintetica", da cui partire per "ulteriori avventure interplanetarie".
L'articolo è una descrizione passo a passo dell'intero processo di esplorazione lunare, comprensivo di esperimenti geologici e fisici, e nulla di quel che contiene è scientificamente implausibile, quindi promosso a pieni voti!
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Copertina di Kurt Caesar, sempre splendido |
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La pretesa che un'enciclopedia possa fare "uomini i vostri figli" strappa sempre un sorriso :D |
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Costina in perfette condizioni |
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La pubblicità è l'anima del commercio, sempre! |
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Frontespizio con firma e data |
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Sinossi dell'opera |
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Si parte! |
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John Gordon nel "bimillesimo secolo" e nel corpo di Zarth Arn, affiancato da Vel Quen |
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Technobabble d'annata |
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Hamilton non disdegna l'uso delle NdA per fornire ulteriori dettagli "scientifici" |
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Altre NdA con altre spiegazioni |
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All'armi! |
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La massa raccolta come la resina di un pino: ingenuo ma meraviglioso! |
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Vi sono innumerevoli razzie aliene nella galassia, ma non hanno un ruolo significativo nella storia se non quello di fornire un tocco "esotico" alla narrazione |
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Faccia faccia col malvagio antagonista |
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FIRE! |
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Il fuoco atomico fa sfracelli |
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Pubblicità della "sorella maggiore" de I Romanzi di Urania, quella che oggi chiamiamo Urania Rivista per distinguerla ma che uscì prima di Le Sabbie di Marte |
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Terribili armi cosmiche che funzionano abbassando una leva |
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Pubblicità del prossimo numero che recensiremo |
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Mondadori ci teneva davvero un sacco a vendere la sua enciclopedia |
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Romanzo d'appendice |
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La splendida rubrica scientifca |
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Questo fu pubblicato su Urania Rivista, di Judd vedremo invece L'Ordine e le Stelle sul numero 57 de I Romanzi di Urania |
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L'immancabile angolo "enimmistico" |
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Ogni singolo numero una prima edizione: Urania è davvero stata pioneristica per la SF in Italia |